Non m’importava granchè che Bella avesse scelto un altro. Sapevo di poterlo sostenere una vita intera, per quanto stupida, prolungata, intensa fosse. La cosa importante era che stava per rinunciare a tutto: era disposta a lasciare che il suo cuore si fermasse, che la sua pelle congelasse, che la sua mente si deformasse in quella, cristallizzata, di un predatore. Un mostro. Una sconosciuta. Pensavo che non ci fosse niente di peggio, niente di più doloroso al mondo.
Eppure, se l’avesse davvero uccisa... Fui di nuovo costretto a combattere contro la rabbia. Forse [..] non sarebbe stato male lasciarmi trasformare dal calore e dal tremore in una creatura senz’altro più capace di affrontare quella situazione. Una creatura dall’istinto più forte delle semplici emozioni umane. Un animale incapace di provare un dolore come quello. Un dolore diverso. Tanto per cambiare un po’.
Malgrado la mia forza di volontà, mi tremavano le mani.
Per quale ragione? Rabbia? Tormento? Non sapevo contro cosa stavo combattendo. Dovevo convincermi che Bella sarebbe sopravvissuta. Ma ciò richiedeva una certa fiducia. Una fiducia che non potevo concedere, la fiducia nella capacità del succhiasangue di tenerla in vita.
Chissà come avrei reagito di fronte al suo cambiamento. Vederla morire sarebbe stato come vederla trasformarsi in un essere di pietra? Di ghiaccio? Sentire il suo odore bruciarmi nelle narici e innescare l’istinto di strappare, di mordere... che effetto avrebbe fatto? Avrei mai potuto desiderare di ucciderla? Avrei mai potuto non desiderare di uccidere una di
loro?
Restai a guardare le onde fino a tardi, molto tempo dopo il calare della sera. Probabilmente tornare a casa era una cattiva idea, ma avevo fame e non c’erano alternative. [..]
Billy tacque per un secondo di troppo. «Oggi è arrivata una lettera».
Capii subito qual’era l’argomento che aveva cercato di evitare.
«Una lettera?».
«Un... invito a un matrimonio».
Tutti i muscoli del mio corpo scattarono. Sentivo la schiena solleticata da una piuma ardente. Afferrai il tavolo per tener ferme le mani.
Billy proseguì come se non si fosse accorto di nulla. Sfilò la busta spessa, color avorio, che teneva nascosta tra la gamba e il bracciolo della sedia a rotelle. La posò al centro del tavolo.
Afferrai di scatto la busta. Era pesante, rigida. Costosa. Troppo lussuosa per Forks. Bella non c’entrava niente. Non c’era traccia del suo gusto personale. Non lessi neanche una parola, nemmeno la data. Non m’importava.
«Jake, abbiamo soltanto questo tavolo», disse Billy. Fissava la mia mano sinistra.
La morsa delle dita afferrava il legno con forza tale da rischiare di distruggerlo. Aprii le dita una a una, concentrandomi con tutto me stesso, poi strinsi una mano nell’altra per non rompere nulla.
Mi alzai da tavola, sfilandomi la maglietta.
Iniziai a correre prima di raggiungere gli alberi, lasciandomi i vestiti alle spalle come un sentiero di briciole, come se volessi segnare la strada del ritorno. Ormai era fin troppo facile trasformarmi. Non dovevo neanche pensarci. Il mio corpo intuiva dove volessi andare e prima ancora che glielo chiedessi mi dava ciò che volevo. A quel punto avevo quattro zampe ed ero in volo.
Avrei potuto correre per giorni senza stancarmi. Forse, questa volta, non mi sarei fermato.
Ma ero solo.
Mi dispiace tanto, sussurrò Embry nella mia testa.
Vedevo con i suoi occhi. Era lontano, a nord, ma aveva invertito la marcia e mi stava correndo incontro. Con un ruggito, accelerai.
Aspettaci, m’implorò Quil. Era più vicino, appena partito dal villaggio.
Lasciatemi stare, ringhiai.
Sentivo la loro preoccupazione nella testa, malgrado cercassi di annegarla nel rumore del vento e della foresta. Questo era ciò che odiavo di più: vedermi riflesso nei loro occhi. E adesso era ancora peggio perché nei loro occhi c’era soltanto compassione. Vedevano l’odio, ma non smettevano di rincorrermi.
Un’altra voce risuonò nella mia testa.
Lasciatelo andare. I pensieri di Sam erano tranquilli. Embry e Quil rallentarono fino a camminare. Se solo avessi potuto smettere di sentire, di vedere ciò che vedevano. La mia testa era affollata, l’unico modo di restare solo era tornare umano, ma a quel punto non avrei sopportato il dolore.
Trasformatevi, ordinò Sam.
Prima una, poi l’altra coscienza tacquero. Restava soltanto Sam.
Grazie, riuscii a pensare.
Torna a casa appena puoi. Le parole furono deboli e svanirono nel vuoto quando anche lui se ne andò. Lasciandomi solo.
Andava molto meglio. Finalmente udivo il fruscio debole del tappeto umido di foglie sotto le zampe, il sussurro delle ali di un gufo sopra di me, il lamento dell’oceano – lontano, lontanissimo a occidente – sulla spiaggia. Tutto questo e nient’altro. Sentivo soltanto la velocità, lo sforzo di muscoli, tendini e ossa che lavoravano in armonia, mentre mi lasciavo i chilometri alle spalle.
Perso in quel silenzio, non sarei tornato mai più. Altri prima di me avevano preferito questa forma all’altra. Forse, se fossi fuggito abbastanza lontano, non sarei stato più costretto a sentire...
Accelerai il ritmo della corsa per fuggire da Jacob Black.
Jacob Black, Eclipse.